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Teoria firmata Insubria e pubblicata da Nature Scientific Reports rivoluziona i principi della Fisica Quantistica

Teoria firmata Insubria e pubblicata da Nature Scientific Reports rivoluziona i principi della Fisica Quantistica

Tra le possibili applicazioni la creazione di computer quantistici, più sicuri ed efficienti

I computer del futuro – i computer quantistici – sono più vicini, grazie a uno studio che ha contraddetto e sfatato un principio ben noto nella teoria dell’informazione quantistica secondo il quale l’entanglement non può essere generato o ricreato tramite operazioni locali e comunicazione classica.

La possibilità di rigenerare l’entanglement quantistico in operazioni locali è al centro di una importante teoria elaborata da un gruppo di ricerca composto da fisici teorici e sperimentali, ripresa e pubblicata sulla rivista Scientific Reports del Nature Publishing Group, nell’articolo intitolato “Experimental on-demand recovery of entanglement by local operations within non-Markovian dynamics“.

Del team di fisici – composto da Antonio D’Arrigo, Elisabetta Paladino e Giuseppe Falci dell’Università di Catania; Rosario Lo Franco, delle Università di Palermo, Nottingham e São Paulo – fa parte anche il professor Giuliano Benenti, dell’Università degli Studi dell’Insubria. Gli esperimenti sono stati realizzati nel gruppo di ottica quantistica dell’Università di Roma La Sapienza, da Adeline Orieux, Giacomo Ferranti, Fabio Sciarrino e Paolo Mataloni. L’interesse dello studio è sia di carattere fondamentale che applicativo.

La meccanica quantistica offre oggi promettenti e innovative applicazioni nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione basate su una peculiare caratteristica nota come “entanglement”.

Professor Benenti - Università dell'Insubria
Professor Benenti – Università dell’Insubria

L’entanglement è una proprietà dei sistemi quantistici costituiti da più parti microscopiche: dà luogo a correlazioni tra le diverse parti che sono “più forti” di quanto immaginabile sulla base della nostra esperienza “classica” del comportamento degli oggetti macroscopici, e pertanto irriproducibili da essi. «Dopo che due sistemi quantistici hanno interagito non possiamo risalire allo stato del sistema complessivo dalla conoscenza dello stato dei singoli sottosistemi. Questo porta a conseguenze paradossali per l’intuizione classica – spiega il professor Benenti -.

Un esempio è il seguente: potremmo tagliare un francobollo in due parti (orizzontalmente o verticalmente) e mandarle a due osservatori. L’aspetto paradossale consiste nel fatto che i due osservatori potrebbero scegliere loro a posteriori, vale a dire dopo aver ricevuto le loro parti, se il francobollo è stato tagliato orizzontalmente o verticalmente».

Dal punto di vista delle possibili applicazioni, l’entanglement è una risorsa essenziale per la realizzazione di computer quantistici – ossia con un hardware formato da parti microscopiche, i quantum bit o qubit – che basano il loro funzionamento sulla logica della meccanica quantistica per risolvere problemi computazionali più efficientemente dei calcolatori classici, oppure per trasferire informazione in modo sicuro mediante l’invio di sistemi quantomeccanici.

«Grazie all’entanglement – continua Benenti – un processore potrebbe elaborare pacchetti di informazione esponenzialmente grandi nello stesso processo (in parallelo), abbattendo per esempio tempi e costi di progettazione e, in generale, ottenendo prestazioni di calcolo irraggiungibili dai computer basati sull’attuale paradigma di calcolo “classico”. L’entanglement consente anche trasmissioni di informazione quantistica, per esempio lo stato di un atomo o di un fotone, a distanza (teletrasporto quantistico), comunicazione tra due parti di una chiave segreta con standard di sicurezza garantiti dai principi della meccanica quantistica (crittografia quantistica), accurati schemi di posizionamento e timing».

L’ostacolo più importante alla realizzazione di computer e reti quantistiche è l’effetto di disturbo che l’ambiente circostante esercita sul sistema. Esso provoca un rapido deterioramento delle proprietà quantistiche e di conseguenza anche l’entanglement tra i costituenti (qubit) in una rete quantistica, ad esempio: calcolatori quantistici, sistemi per la comunicazione quantistica, etc., è destinato a scomparire al trascorrere del tempo.

«Quello che mostriamo nel nostro studio è come, sotto opportune condizioni, appropriate operazioni locali applicate su uno dei qubit del sistema possano permettere di ripristinare completamente, e a richiesta, l’entanglement inizialmente presente tra i qubit della rete. Vale a dire recuperare una risorsa fondamentale per le macchine quantistiche, l’entanglement appunto».

Quali sono le possibili applicazioni? «La strategia di recupero dell’entanglement che proponiamo potrebbe venire usata in vari setup di macchine quantistiche, ad esempio in sistemi a stato solido dove l’effetto deleterio di certe sorgenti di rumore potrebbe essere significativamente mitigato.

Nonostante questa scoperta sia lontana dall’essere commercializzata e rimanga incerto quando potremo avere un computer quantistico sulla scrivania del nostro ufficio, essa lascia intravedere nuove e promettenti possibilità di sviluppo per le tecnologie quantistiche» conclude Benenti.

Como, 16 giugno 2015